Siamo ancora vicini, nel buio della macchina. Il posto non sempre è quello giusto, ma sempre uguale, poco illuminato, la luce dei fari delle macchine che passano lontane, arriva sfuocata fino a noi. Questa volta le mie mani sono strette l'una all'altra, non sfiorano le tue gambe; la mia testa è eretta, per niente protesa a chiedere un bacio, guardo avanti, non cerco i tuoi occhi, quegli occhi così indifferenti, così lontani, così sprezzanti, quando ti incontravo, un pugno nello stomaco, in mezzo alla gente. Hai perso quell'aria di sfida, la tua testa è inclinata in avanti, si piega sempre più sotto il peso delle mie parole, che bello! Il mio discorso è fluido, regolare, la voce non trema, mi sto liberando di tutto ciò che per anni ha occupato i miei pensieri, senza poter dire, senza poter spiegare, senza poter chiedere. Il suono delle mie parole è limpido, non assomiglia più ad un pianto / il suono petulante di un lamento/. Alla fine la mente si svuota dalle parole compresse per un tempo che mi è parso infinito.
Ora le parole tacciono, anzi no, ancora le ultime per chiederti di riportarmi alla mia macchina _ Dove è che l'abbiamo lasciata?_ E poi io che scendo senza voltarmi, senza la solita implorazione, senza quel senso di impotenza che da sempre mi ha accompagnato nel salutarti.
Ti vedo osservarmi mentre mi allontano/ triste/ incredulo/ finalmente sconfitto da ciò che eri, da ciò che sei, credo, ancora adesso. Forse ricercavi nei miei occhi la luce che un tempo/ si rivolgeva ai tuoi/ con la richiesta silenziosa di chi sa di non poter avere quello che desidera/ se non dopo una lunga agonia?
O la cerchi, quella luce per confermarti che ancora sei presente nei miei pensieri? Non lo sei, il vuoto fa il padrone, adesso, nel mio cuore.
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